La chiesa dei Santi Pietro e Paolo
Abbazia dei Gerolamini
Abbazia dei Gerolamini
Il portico
I dipinti del protiro sono stati sottoposti a due interventi di restauro a fine ‘800: la decorazione incentrata sui toni del giallo e rosa si estende per tutta la superficie. Ai lati del portale due finti ingressi hanno come sopraporta dei monocromi con i santi Girolamo e Paola Romana. Alessandro Beltrami assegna in modo cautelare la decorazione a Felice Biella che la realizzò probabilmente nel 1775.
La facciata
La chiesa quattrocentesca era molto più piccola rispetto a quella attuale: la facciata era sicuramente molto più semplice. Tipicamente lombarda è la decorazione in cotto della greca che chiude la facciata con arcate cieche trilobate ancora di gusto gotico. La facciata della chiesa di fine cinquecento si presenta ancora in generale molto semplice e geometricamente rigorosa: dobbiamo ricordare che l’ordine dei Gerolamini era un ordine di clausura, pertanto non era opportuno mostrare fasto e ricchezza all’esterno quanto invece sobrietà.
L’ingresso
Appena entrato, un fedele del XV-XVI secolo veniva investito dalla magnificenza della decorazione. Ancora una volta, la pianta della chiesa è molto semplice: navata centrale unica sulla quale si aprono tre cappelle per lato. Durante i lavori degli anni ’80 del ‘500, le murature quattrocentesche vennero inglobate negli archi di trionfo che diventano il modulo compositivo dell’interno e garantiscono l’ingresso alle cappelle laterali. L’interno si rivestì di stucchi bianchi e oro, i colori di San Pietro come anche quelli degli stuccatori ticinesi che li realizzarono. Si suppone che le cappelle laterali furono realizzate dal 1592 al 1598 sicuramente da maestranze cremonesi che vi lavorarono dal 1584 al 1600. Tutte le cappelle (tranne le prime due di ingresso) seguono una stessa impostazione: un’ancona su tela sopra l’altare in finto marmo, con episodi ad affresco ai lati e nell’archivolto.
La presenza dei paesaggi ha permesso agli studiosi di indicare Felice Biella per affreschi della cappella che fu ampliata nel 1712 e dotata di un altare in marmo poiché adibita alle funzioni parrocchiali. Nell’ambiente sono presenti 8 simboli mariani inseriti in cornici ottocentesche in stucco dorato. La cappella subì infatti un restauro sostanzioso nel 1884 da parte di Achille Secchi che intervenne maggiormente nella parte superiore della cappella.
La decorazione della cappella, che diede avvio al ciclo decorativo, è di Andrea Mainardi, detto il Chiaveghino che si formò presso Bernardino Campi con cui lavorò a San Sigismondo (Cremona). In quella chiesa il Campi realizzò una pala con le sante che venne poi replicata da Chiaveghino qui a Ospedaletto Lodigiano, il quale si concentrò maggiormente sulla natura morta musicale sullo sfondo. I sei affreschi con le storie delle sante presenti nella cappella si indirizzano invece alla maniera della pittura bresciana per i caratteri grotteschi dei volti e le pose forzate, in particolar modo quelli presenti nel sottarco che raffigurano i martiri delle due sante.
All’interno della chiesa madre dell’ordine non potevano mancare i due santi protettori: Gerolamo da cui prende il nome in omaggio al suo ritiro di penitenza nel deserto e Agostino di cui i monaci adottarono la regola. La decorazione della cappella è stavolta di Luca Cattapane. Egli fu allievo di Vincenzo Campi e influenzato dalla maniera bresciana e cremonese. Anche stavolta la pala di Cattapane è una copia di quella eseguita da Bernardino Campi per San Sigismondo di cui però il pittore invertì i due santi e inserì un putto per sorreggere il pastorale. Nell’intradosso con colori più vivaci, si trovano le esequie dei due santi.
La torre campanaria ha un fusto robusto a pianta quadra simile a quelle di Santa Maria in Galilea a Senna Lodigiana e di San Bassiano a Livraga, con cui condivide la stessa partizione delle aperture superiori, ma distinguendosi perchè coronata con una cella ottagonale e alto cono cestile. Riprende lo schema lombardo delle torri composte con volumi diversi sovrapposti. La massa muraria rispetto alle torri lodigiane non era intonacata e presenta una tessitura precisa, intervallata dai fori pontai e dagli spioncini dei pianerottoli interni. Il campanile di Ospedaletto Lodigiano rispetto a quelli lodigiani è più slanciato: le specchiature dei piani incorniciati sono più alte ed è sormontato da un tiburio ottagonale a finestre timpanate con alta cuspide. La torre comunque appartiene alla seconda fase costruttiva compiuta entro il 1599.
Gli affreschi della sacrestia sono attribuiti a Giuseppe Natali. La decorazione è datata sulla volta al 1705 e sembra anticipare il barocchetto lombardo per l’assenza di un deciso sfondato prospettico a favore invece di una struttura architettonica dipinta con livelli sovrapposti. Attraverso il varco verso il cielo, cinque angioletti portano la croce presentata in scorcio per dare profondità alla volta e reggono i chiodi, la scritta, e il velo della Veronica. Nel resto dell’affresco compaiono elementi illusionistici come le finestre dipinte e due finte porte ai lati della monumentale custodia dei reliquiari. Tra il soffitto e gli armadi settecenteschi sono inseriti 11 grandi medaglioni monocromi con putti alati che si stagliano su vedute paesaggistiche. Essi reggono gli oggetti conservati negli armadi sottostanti tra cui anche la mitria e pastorale di cui era insignito l’abate.
La decorazione della cappella è da attribuire a Cattapane, tuttavia oggi appare abbastanza diversa rispetto all’originale, in quanto la pala con i due santi oggi non è più presente, sicuramente venne rimossa prima del 1858 poiché ritenuta troppo danneggiata. Oggi lo spazio della pala è occupato dal simulacro ligneo di Sant’Antonio circondato da una pala con putti e simboli del santo. Tutto attorno una decorazione a drappeggio in accordo con quella originale.
La pala centrale della cappella vede stavolta come protagonista Marcantonio Mainardi, nipote del Chiaveghino. I toni cromatici si scuriscono, il paesaggio di ascendenze fiamminghe è sovrastato da un cielo tempestoso contro cui si innalza la croce abbracciata alla base dalla Maddalena circondata da una natura morta con gli oggetti usati per la crocifissione. La sola presenza di Cristo e della Maddalena è giustificata dai riquadri che decorano la cappella in cui sono inseriti gli altri fatti e personaggi della passione. Gli studiosi hanno notato in questi riquadri ben tre mani diverse: Luca Cattapane (orazione nell’orto e cattura di Cristo), forse Marcantonio (Gesù inchiodato e Cristo davanti a Caifa), il Chiaveghino (salita al Calvario e l’Ecce homo).
La decorazione dell’ambiente è da assegnare al Chiaveghino. La pala d’altare con i due santi venne trafugata e oggi sostituita con una Via Crucis ottocentesca. Nei riquadri a lato le storie di Sant’Antonio e San Savino.
È il vescovo di Cremona Cesare Speciano che, durante la sua visita al monastero nel 1596, descrive il grandioso complesso già lodato per la sua magnificenza. Il monastero era perfettamente cintato verso l’esterno e dotato di tre porte custodite. All’interno della clausura il monastero era organizzato attorno a un chiostro centrale appoggiato al fianco della chiesa, il lato est era quasi interamente occupato dal grande refettorio coperto da volta, al lato opposto della chiesa si trovavano locali di servizio e un grande orto. La casa del priore era usata per tenervi le riunioni del capitolo generale e collegata agli ambienti del monastero anche da passaggi segreti. Al piano superiore del chiostro si trovavano le celle dei monaci collegate con una scala alla chiesa. Il monastero era anche dotato di foresteria che accoglieva gli ospiti laici. Attaccato con un corridoio al monastero si trovava il Noviziato, un’imponente struttura dotata di 14 celle per i novizi e il loro maestro.
Presbiterio: storie di San Pietro
Gli affreschi con le storie di San Pietro nel registro superiore si inquadrano all’interno di cornici di stucco e sono da assegnare alla scuola cremonese realizzate tra il 1584 e il 1599. Solo quattro scene a sinistra sono attinte dai Vangeli e dagli Atti degli Apostoli, mentre per le restanti, la fonte è la “Legenda Aurea” di Jacopo da Varazze. Sono rappresentati eventi leggendari che non hanno riscontri in altri cicli pittorici su San Pietro e in più sono omessi i miracoli più famosi del santo come anche il suo martirio.
L’inserimento delle cantorie lignee in seguito all’installazione delle nuove ante d’organo nel 1682 ha in parte compromesso la lettura delle scene degli ordini inferiori. Le ante d’organo furono commissionate a Paolo Antonio Valentini, raffigurano fioriere e nature morte e furono realizzate in occasione del ritiro dell’arcivescovo Federico Visconti a Ospedaletto Lodigiano.
Pala del Giampietrino (1515 c.ca)
Sulla parete frontale del presbiterio campeggia la maestosa cornice barocca in legno dorato con putti e angeli di dimensioni superiori al vero e culminante con la tiara, copricapo indossato dall’abate generale dell’ordine. Al centro della cornice è inserita la pala di Giovan Pietro Rizzoli, detto il Giampietrino, allievo di Leonardo da Vinci. L’opera raffigura la Madonna con Bambino, San Girolamo e San Giovanni Battista. In realtà molto probabilmente l’opera originaria includeva ai lati anche le due tavole di San Pietro e San Paolo, separate da quella centrale dalla cornice barocca che hanno in comune con la pala centrale la decorazione geometrica del pavimento.
La Vergine posta su un piedistallo rappresenta il vertice di una struttura piramidale. La scena si svolge in uno spazio interno ben scandito dal punto di vista prospettico, una prospettiva molto ambiziosa che definisce i piani in diagonale. L’ambiente accoglie figure dal forte richiamo leonardesco, soprattutto nello sfumato e nel chiaroscuro dei volti.
Sono poche le notizie e i documenti che recano traccia dell’imponente coro ligneo. Ancora nel 1584, il coro si trovava davanti all’altare maggiore occupando metà chiesa. Tuttavia le esigenze di ampliamento richiesero notevoli modifiche: si inizia la costruzione di un nuovo presbiterio e un nuovo coro posto dietro l’altare, la cui costruzione terminò nel 1592. Il coro è corredato da scene della vita di san Girolamo che conferivano al coro una valenza didascalica. Le due ali sono costituite da 64 stalli disposti su due ordini. Nel secondo registro sopra gli stalli si alternano pannelli con decorazioni vegetali a episodi della vita di san Girolamo. In corrispondenza del seggio dell’abate compare il pannello con san Girolamo assiso in abiti cardinalizi attorniato dai monaci, mentre gli ultimi quattro pannelli raffigurano alcuni miracoli del santo.
L’Assunta
Al centro del soffitto del coro, nei primi anni Quaranta del ‘700, Mattia Bortoloni (artista veneto) realizza l’affresco dell’Assunta. La Vergine ascende al cielo circondata da una nuvola dai toni grigio-rosa che supera i confini della cornice dorata in cui è inserita l’opera e sorretta da angeli possenti. La scena è immersa in una luce calda e diffusa, pervasa dalla gioia della Vergine che alza il suo sguardo delicato alla Trinità che la attende. La finezza dell’affresco è sottolineata dalla cromia incentrata sui toni del rosa su cui spiccano il rosso e il blu delle vesti di Maria e dalle espressioni sincere e gioiose degli angeli, uno dei quali si protende lo sguardo verso il basso catturando lo sguardo dei fedeli.
La chiesa parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo Apostoli è aperta alle visite nei seguenti giorni e orari:
Un luogo ricco di storia e fede.
Il libro della chiesa
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